Iniziare a corre a quarant’anni: consigli utili per chi inizia a correre in età adulta

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Qualche consiglio di base di fronte al boom di runner che iniziano a gareggiare in età adulta. Evitare il “fai da te”, la quantità dei chilometri percorsi va tenuta sotto controllo e va sempre abbinata ad una preparazione muscolare ed atletica.

Da ormai dieci anni a questa parte abbiamo assistito ad un esplosivo movimento di runner che affollano le strade delle nostre città e partecipano in massa alla gare podistiche amatoriali della domenica. Il fenomeno ormai ha preso dimensioni ciclopiche e il business dell’indotto appare sempre più in crescita. La Fidal  è tra le federazioni italiane con maggiori tesserati. Le scuole giovanili dei vari comitati regionali sono in crescita, ma soprattutto si è avuta un’impennata di tesserati “master”, tanto che la stessa federazione ha costituito una squadra amatoriale (RunCard). Con un piccolo contributo economico annuo e con il certificato medico agonistico, un amatore over 35 anni può iniziare oggi a correre e gareggiare domenica alla prossima gara su strada in Italia. Per dire, alla mezza maratona Roma-Ostia di domenica scorsa, la società RunCard era in testa alla classifica delle società partecipanti all’evento con circa 2600 atleti arrivati al traguardo. Le società sportive dilettantistiche che tesserano molti atleti primeggiano alle competizioni amatoriali durante tutto l’anno e promuovono tutta una serie di attività sociali che attirano i runner. Insomma il business è in crescita e il suo sfruttamento anche. Ma quali sono gli effetti sul corridore di questa attività?
È consolidato il concetto che correre faccia bene al corpo umano. Dall’apparato cardio respiratorio, alla produzione di catecolamine ed endorfine, alla massa muscolare, tendinea e legamentosa, si è ampiamente visto che gli adattamenti prodotti dal corpo sono benefici.

Quali sono però i fattori di rischio? La domanda si impone se fai il preparatore atletico di master che si impegnano in modo agonistico con allenamenti quotidiani molto intensi. Gli effetti benefici sono spesso manipolati ed utilizzati in modo sbagliato da neofiti che attingono i programmi di allenamento dal web. Molti gareggiano ogni domenica su distanze che vanno dai 10 chilometri alla maratona. Ma cosa significa impegnarsi su distanze così lunghe senza una preparazione atletica sufficiente a proteggere l’esoscheletro dai ripetuti traumi degli impatti derivati dalla corsa? L’aumento dei centri fisioterapici la dice lunga su quali sono i rischi: tendiniti, traumi alla colonna vertebrale, traumi articolari alle caviglie, alle ginocchia ed alle anche. Quella che doveva essere un’attività benefica e di protezione può diventare un micidiale boomerang . Proprio ieri su una famosa piattaforma social una donna di 45 anni si vantava di aver programmato tra marzo e aprile, tre mezze maratone e una maratona. Evidentemente,  il bisogno di sentirsi “no limits” viene appagato da questa esasperata attività.

Allora ecco qualche consiglio metodologico ed operativo di base utile all’atleta spaesato e senza un target preciso di corsa. Prima fase: dopo aver superato la visita medico/sportiva agonistica, occorre un periodo di adattamento cardiaco e respiratorio attraverso la corsa lenta, che dia un primo feedback sullo stato di forma generico (pulsazioni cardiache, sensazioni muscolari, reazioni metaboliche ). Dopo 4/6 settimane di questa tipologia di allenamento, si può passare alla fase 2, nella quale si possono alternare a degli allenamenti aerobici a bassa intensità, alcuni allenamenti più specifici di potenza aerobica. Utile anche immettere qualche allenamento di velocità su distanze dai 60 ai 200 metri, in modo da risvegliare alcune contrazioni muscolari addormentate da un’attività lenta e prolungata . Con questa seconda fase si arriva a 12 settimane complessive di lavoro. A questo punto il passaggio alla fase 3, nella quale si può aggiungere anche una certa quantità di potenziamento muscolare con esercizi sul campo e corsa in salita su distanze dai 60 metri (molto ripide) ai 400 metri. Le velocità sulle distanze più lunghe, intanto, saranno cresciute e le articolazioni cominciano a rispondere agli stimoli di carico in modo adeguato. Qualche settimana di “fase 3”, e si potrà iniziare a ragionare sulla partecipazione ad una prima gara, naturalmente di chilometraggio limitato.

Insomma, credo che iniziare un’attività di running dopo i 40 anni debba significare divertirsi con criterio e metodo. Il fai da te non è consigliato.

Da ormai dieci anni a questa parte abbiamo assistito ad un esplosivo movimento di runner che affollano le strade delle nostre città e partecipano in massa alla gare podistiche amatoriali della domenica. Il fenomeno ormai ha preso dimensioni ciclopiche e il business dell’indotto appare sempre più in crescita. La Fidal  è tra le federazioni italiane con maggiori tesserati. Le scuole giovanili dei vari comitati regionali sono in crescita, ma soprattutto si è avuta un’impennata di tesserati “master”, tanto che la stessa federazione ha costituito una squadra amatoriale (RunCard). Con un piccolo contributo economico annuo e con il certificato medico agonistico, un amatore over 35 anni può iniziare oggi a correre e gareggiare domenica alla prossima gara su strada in Italia. Per dire, alla mezza maratona Roma-Ostia di domenica scorsa, la società RunCard era in testa alla classifica delle società partecipanti all’evento con circa 2600 atleti arrivati al traguardo. Le società sportive dilettantistiche che tesserano molti atleti primeggiano alle competizioni amatoriali durante tutto l’anno e promuovono tutta una serie di attività sociali che attirano i runner. Insomma il business è in crescita e il suo sfruttamento anche. Ma quali sono gli effetti sul corridore di questa attività?
È consolidato il concetto che correre faccia bene al corpo umano. Dall’apparato cardio respiratorio, alla produzione di catecolamine ed endorfine, alla massa muscolare, tendinea e legamentosa, si è ampiamente visto che gli adattamenti prodotti dal corpo sono benefici.

Quali sono però i fattori di rischio? La domanda si impone se fai il preparatore atletico di master che si impegnano in modo agonistico con allenamenti quotidiani molto intensi. Gli effetti benefici sono spesso manipolati ed utilizzati in modo sbagliato da neofiti che attingono i programmi di allenamento dal web. Molti gareggiano ogni domenica su distanze che vanno dai 10 chilometri alla maratona. Ma cosa significa impegnarsi su distanze così lunghe senza una preparazione atletica sufficiente a proteggere l’esoscheletro dai ripetuti traumi degli impatti derivati dalla corsa? L’aumento dei centri fisioterapici la dice lunga su quali sono i rischi: tendiniti, traumi alla colonna vertebrale, traumi articolari alle caviglie, alle ginocchia ed alle anche. Quella che doveva essere un’attività benefica e di protezione può diventare un micidiale boomerang . Proprio ieri su una famosa piattaforma social una donna di 45 anni si vantava di aver programmato tra marzo e aprile, tre mezze maratone e una maratona. Evidentemente,  il bisogno di sentirsi “no limits” viene appagato da questa esasperata attività.

Allora ecco qualche consiglio metodologico ed operativo di base utile all’atleta spaesato e senza un target preciso di corsa. Prima fase: dopo aver superato la visita medico/sportiva agonistica, occorre un periodo di adattamento cardiaco e respiratorio attraverso la corsa lenta, che dia un primo feedback sullo stato di forma generico (pulsazioni cardiache, sensazioni muscolari, reazioni metaboliche ). Dopo 4/6 settimane di questa tipologia di allenamento, si può passare alla fase 2, nella quale si possono alternare a degli allenamenti aerobici a bassa intensità, alcuni allenamenti più specifici di potenza aerobica. Utile anche immettere qualche allenamento di velocità su distanze dai 60 ai 200 metri, in modo da risvegliare alcune contrazioni muscolari addormentate da un’attività lenta e prolungata . Con questa seconda fase si arriva a 12 settimane complessive di lavoro. A questo punto il passaggio alla fase 3, nella quale si può aggiungere anche una certa quantità di potenziamento muscolare con esercizi sul campo e corsa in salita su distanze dai 60 metri (molto ripide) ai 400 metri. Le velocità sulle distanze più lunghe, intanto, saranno cresciute e le articolazioni cominciano a rispondere agli stimoli di carico in modo adeguato. Qualche settimana di “fase 3”, e si potrà iniziare a ragionare sulla partecipazione ad una prima gara, naturalmente di chilometraggio limitato.

Insomma, credo che iniziare un’attività di running dopo i 40 anni debba significare divertirsi con criterio e metodo. Il fai da te non è consigliato.

da Repubblica.it – http://www.repubblica.it/sport/running/allenamenti/2017/03/17/news/allenamento_over_40_master_corsa-160797781/